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L’amministratore di società e l’annullamento delle operazioni in conflitto di interessi, gli ultimi orientamenti giurisprudenziali
Analizziamo insieme il ruolo dell'amministratore di una società e le norme vigenti per contrastare il conflitto di interessi.
L’amministratore di una società
È il soggetto incaricato della gestione dell’impresa e della realizzazione di tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Di norma, l’amministratore è anche rappresentante della società.
I sistemi di amministrazione variano a seconda dei tipi sociali considerati, così, in alcuni casi, la funzione di amministratore deve essere rivestita necessariamente da un socio, mentre, in altri, può essere affidata anche a non soci.
Nel caso di società per azioni che adottino il sistema di amministrazione e controllo cosiddetto “tradizionale”, i primi amministratori sono indicati nell’atto costitutivo, mentre gli amministratori successivi sono nominati dall’assemblea ordinaria. L’amministrazione può essere affidata a un soggetto singolo (amministratore unico), ovvero a più persone, che formano il consiglio di amministrazione. Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare alcune funzioni ad uno o più dei suoi componenti, istituendo, così, le figure dell’amministratore delegato e del comitato esecutivo. Il consiglio di amministrazione può validamente deliberare se è presente la maggioranza degli amministratori in carica; le deliberazioni sono assunte a maggioranza dei presenti. Le deliberazioni del consiglio contrastanti con le previsioni di legge o con le disposizioni dello statuto sono annullabili su istanza del collegio sindacale o degli amministratori assenti o dissenzienti.
Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e restano in carica fino alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica. Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa indicazione dello statuto, e sono revocabili in ogni momento dall’assemblea.
Gli amministratori devono adempiere i doveri imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenza tecniche. Essi sono responsabili verso la società per i danni derivanti dall’inadempimento di questi doveri. Sono altresì responsabili per i danni causati al singolo socio o ai creditori sociali.
L’amministratore in conflitto di interessi: l’annullamento dell’atto invalido.
Con l’introduzione dell’art. 2475 ter c.c. il legislatore ha assicurato alla società danneggiata da un’operazione realizzata dall’amministratore il rimedio dell’invalidità dell’atto.
Benché nell’immaginario collettivo si tenda a considerare annullabile qualsiasi contratto concluso dall’amministratore che veda coinvolti i suoi interessi personali, in realtà si riscontrano sostanziali difficoltà nel dimostrare l’esistenza dei presupposti giuridici volti ad ottenere una declaratoria di inefficacia.
Ebbene, quanto ai presupposti ai fini dell’annullabilità, è richiesto:
- in primo luogo che il contratto sia stato concluso ad opera del soggetto dotato della rappresentanza legale della società;
- in secondo luogo, è necessario che il contratto sia stato realizzato in una situazione di “conflitto di interessi”, che viene a crearsi, come si è detto, nell’ipotesi in cui l’amministratore persegue una finalità opposta ed inconciliabile con quella della società, di guisa che all’utilità conseguita o conseguibile da quest’ultimo, per sé medesimo o per conto di un terzo beneficiario, sia seguìto un danno per la società rappresentata.
Tuttavia, l’esistenza della situazione conflitto di interessi dev'essere accertata in concreto sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità di interessi di cui sono portatori rispettivamente la società e il suo amministratore.
La giurisprudenza più recente
La giurisprudenza, ai fini della configurabilità della fattispecie, ha infatti precisato che non è sufficiente la mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle contrapposte parti contrattuali (Tribunale di Torino, sez. imprese, 16.03.2021, n. 1294). Quanto ai criteri per la valutazione del conflitto, lo stesso, per portare all’annullamento del contratto, deve essere attuale, cioè valutabile nel momento della formazione del negozio, nonché specifico, ossia deve far riferimento ad un preciso atto.
Quanto invece alla prova della situazione di conflitto, si considera sufficiente, ai fini della sua dimostrazione, la presenza di elementi indiziari o presuntivi, quali ad esempio il rapporto di parentela o di coniugio tra il legale rappresentante e il terzo contraente.
Infine, si segnala che per conseguire la declaratoria di invalidità è altresì necessaria la dimostrazione della conoscenza o riconoscibilità da parte del terzo contraente che ha trattato l’affare con il rappresentante legale della società.
L’azione di annullamento ex art. 2475 ter, c. 1 c.c., deve essere promossa entro il termine di prescrizione di 5 anni. Quanto al momento in cui tale termine inizia a decorrere, coincide con la data di stipula del contratto affetto da invalidità.
Sebbene non espressamente previsto, in ambito di s.r.l. trova applicazione la disciplina contenuta nell’art. 1444 c.c. Trattasi di una norma che affida al soggetto legittimato ad azionare il suindicato rimedio dell’annullabilità, la possibilità di convalidare il contratto affetto dal vizio.
Quanto alla modalità attraverso cui la convalida deve avvenire, l’art. 1444 c.c. prevede 2 modalità:
- al comma 1 prevede espressamente che la convalida può risultare da un atto contenente la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, oltre che la dichiarazione attestante la volontà di convalidarlo;
- il comma 2 contempla la possibilità di convalidare il contratto dandovi volontariamente esecuzione, pur conoscendo il motivo di annullabilità.